“Il Grido della Natura” a cura di Monica Cremaschi
Le opere di Vittorio Buratti parlano, anzi gridano, cercano di uscire da spesse tele e spazi angusti.
Vibrano nello spazio a ritmo costante, emetten- do un lamento, come quello di chi è prigioniero.
Attesa sorda, lacerante, scandita dalla luce e dai colori delle stagioni che l’artista sa accendere magistralmente.
La presenza umana è solo percepita, distante.
La sua vanità l’ha resa cannibale e mentre fugge dal proprio ego, senza guardarsi indietro, pos- siamo seguirne i passi neri lasciati sulla terra.
Vittorio Buratti sceglie di dare voce alla natura che aspetta impazientemente la propria libera- zione ma lascia all’uomo la facoltà di decidere se voltarsi, tornare sui suoi passi ed essere il custode del giardino lasciatoci dal Padre.
“Cry of Nature” by Monica Cremaschi
Vittorio Buratti’s artworks speak, more precisely they scream, trying to step out from thick canvas and narrow spaces.
They vibrate in the space in a constant rythm, we- eping as prisoners.
The wait is deaf, tearing, registered by light and the colors of the seasons that the artist masterfully turns on.
The human being is just perceived, far away.
His vanity made him a cannibal and, while he is escaping from his own ego without looking back, we can follow the black steps he is leaving on the ground.Vittorio Buratti chooses to give voices to the Na- ture that impatently waits for its own liberation but leaves to the man the faculty to decide if to turn back, retracing his steps, and be the keeper of the garden left us from the Father.
“Omaggio alla Natura” a cura di Massimo Cotto
Tutta l’arte è suono, nessuna eccezione.
Noi siamo musica, fin dall’alba dei nostri giorni. Siamo il ritmo percussivo del cuore che ci mette in moto.
Siamo la melodia delle ninne nanne che le nostre madri hanno cantato quando eravamo ancora nel grembo materno. E siamo danza, perché per calmarci veniamo cullati, stretti in un abbraccio che raddoppia la melodia.
Anche l’arte di Vittorio Buratti è suono.
Il ritmo degli alberi che si alzano verso il cielo fino quasi a toccarlo, perché, come diceva Cesare Pavese, una volta che hai identificato la linea verticale, quella dell’orizzonte non serve più a nulla.
La melodia armonica delle figure che corrono in sincrono verso un domani migliore e alla fine scopri che tornano semplicemente alla natura, alla fonte delle cose, perché se abbiamo vissuto con coscienza noi siamo il nostro principio.
La danza delle lune che salgono sulle strisce di colore e solo apparentemente sono limitate dalle scatole, in realtà le trascendono perché non c’è nulla sopra le lune dell’arte.
Vittorio Buratti è un prodigio di innocenza. Si avvicina alle tele come un bambino alla vita. Le sue opere non conoscono corruzione, come se l’artista centese vivesse in un universo a parte, dove le uniche storture accettate sono quelle dei chiodi che reggono il quadro, perché a volte è una lieve imperfezione a dare il tocco finale. La natura che anima i suoi quadri è restituita al suo antico e primigenio splendore ed è per questo che i lavori di Buratti sono guidati da una forza invincibile, sono luce e suono, sono il mondo che canta. È bello sapere che esistono persone come lui, che vivono dentro un quadro e che non hanno altra cornice che quella della purezza, della musica che non si arresta e si moltiplica all’infinito, come una nenia perfetta, come un canto circolare che lega indissolubilmente il Creato e il Creatore, nel senso sia di artista che di Dio.
“Tribute to Nature” by Massimo Cotto
Art is sound, no exceptions.
We are music, since the dawn of our days. We are the percussional rythm of the heart that moves us. We are the melody of lullabies that our mothers were singing while we were still in their womb. And we are a dance, because we need to be rocked to calm down, closed inside an embrace that doubles the melody.
Vittorio Buratti’s art is also sound. The rythm of the trees that rise to the sky and almost touch it because, as Cesare Pavese said, once you identify the vertical line, you do not need the horizontal any more. The harmonic melody of the figures running together toward a better tomorrow and that in the end you discover they are simply going back to nature, to the source of things, because if we lived conscientiously, we are our beginning. The dance of the moons raising on the coloured stripes, restricted only by the boxes, but indeed, they are the ones who trascend the limits, because there is nothing above the moons of art.Vittorio Buratti is a miracle of innocence. He gets close to the canvas as a child to life.
His works does not know corruption, as if the artist lives in a separate universe, where the only distortions accepetd are the ones of the nails holding up the picture on the wall, because sometimes it is a little imperfection that gives the final touch. The Nature that animates his paintings is given back to its ancient and primitive beauty and this is the reason why Buratti’s works are driven by an invincible force, they are themselves light and sound, they are the world that sings. It is a relief knowing that people like him exist, that live inside a painting and that have no other frame but purity and never ending music, that does not stop and multiplies infinite times, like a perfect melody, a circular song that bonds indissolubly the Creation and the Creator, meaning both the Artist
“La Forza e la Speranza” a cura di Valeria Tassinari
Quanto sia limpida e profonda la forza che ispira le opere di Vittorio Buratti, lo si avverte immediatamente guardando l’intensità dei colori, la nitida costruzione delle composizioni, il controllo preciso del gesto e del messaggio sulle sue tele. Sviluppando un progetto che è prima di tutto ragione di esistenza e poi, ma senza eccessive divagazioni, anche esplorazione del possibile, Buratti si è sempre affidato alla sperimentazione dei materiali e delle diverse modalità di rappresentazione, senza perdere di vista l’obiettivo principale della sua ricerca: onorare la sacralità della natura. Di questa vocazione sincera, ingenua e nobile come solo i valori fondanti della vita possono essere, egli investe ogni sua opera, con una consequenzialità di percorso che, riletta nell’arco di oltre quarant’anni di produzione artistica, stupisce per la coerenza, e forse persino la caparbietà, nel ribadire con forme, colori e parole, che il rapporto uomo natura è totalizzante, imprescindibile.
Attento al linguaggio della grande astrazione italiana degli anni Cinquanta – tra gli altri Fontana, Burri, Dorazio, Congdon, che liberamente cita come maestri di riferimento della propria autoformazione – Buratti ha però troppo amore per le forme fantastiche del mondo vegetale per staccarsi completamente dai riferimenti figurativi, e troppa voglia di farsi comprendere per negare al suo pubblico la possibilità di riconoscere almeno un elemento famigliare, sul quale costruire il significato dell’opera. Così, la sua modalità espressiva peculiare si fonda su un preciso equilibrio tra rappresentazione e interpretazione sintetica del visibile, accostando la riconoscibilità del soggetto ad un colorismo deciso e spesso innaturale, di matrice espressionista. Il colore, linguaggio ampiamente declinato e mai lasciato, anche quando dialoga con il nero profondo o con il bianco spoglio della tela, è, dunque l’impronta emotiva della sua pittura; la figura, ricondotta a pochi archetipi infinitamente ripetuti, tradisce l’intenzione razionale e concettuale dell’opera; il taglio compositivo, attentamente studiato attraverso la rigorosa definizione dell’inquadratura., guida lo sguardo in una direzione prestabilita; i titoli, descrittivi, quasi sempre ripetuti per lunghe serie di lavori, indicano la volontà di accompagnare lo spettatore, ne cercano la complicità, invocando il risveglio delle coscienze. Speranza fragile, quella di condividere un ideale con la sola alchimia dell’immagine; Buratti lo sa, ed in questa consapevolezza rivela tutta la sua forza.
Inizialmente ispirato ad un esplicito impegno ecologista, risposta d’urgenza agli allarmi ambientali (incendi, piogge acide, devastazioni) che le sue opere degli anni Settanta denunciavano con linguaggio acceso e drammatico, Buratti ha poi vissuto una lunga e felice stagione contemplativa. Alla denuncia, scomoda e tormentata, si è così sostituita una strategia comunicativa più accattivante, scandita da paesaggi rurali assolati, assaporati in tutta la loro gradevolezza attraverso una pittura materica ed elegiaca: un’esortazione al rispetto ispirata dalla bellezza, dalla ricerca vibrante di passaggi stratificati e luminosi di colore, di orizzonti alti sospesi su vasti campi in cui liberare lo sguardo.
Una libertà dello sguardo che è cambiata nel lavoro più recente, quello dell’età pienamente matura, in cui sembra sintetizzarsi tutta la storia visiva dell’autore, in una produzione pittorica dove si ritrovano temi e forme appartenute al passato, ma sintetizzati con una consapevolezza più radicale, guidata da una salda capacità di raffinare l’immagine. Quello sguardo incantato, che prima restituiva le esperienze quotidiane delle passeggiate in campagna, si è fatto più analitico e disciplinato, filtrato da una riflessione che potremmo definire filosofica, orientata alla riduzione degli elementi per arrivare ad una poesia rapida ed esatta. Tre, in particolare, sono i soggetti ricorrenti in quest’ultima lunga sequenza di lavori, e il numero divino non è forse casuale.
L’albero. Pilastro del collegamento terra-cielo, sacro in tutte le religioni, garante del meraviglioso equilibrio della natura, l’albero è protagonista di molte opere. Patriarca possente o modesto frammento di potatura, l’albero – dice Buratti – si adatta al contesto, si piega, si sposta a cercare il sole, grazie alla profondità delle radici sopravvive strenuamente e soccombe solo se aggredito con violenza. Ripetendo come un mantra il tema, egli costruisce architettonicamente eleganti visioni di tronchi e ramificazioni quasi sempre monocromi, accostandoli a vivaci colori acrilici, stesi in campiture definite, piatte e sature, che carica di energia con l’intento di trasmetterci un’immagine di speranza. Utilizzando una tecnica simile al frottage, trasferisce direttamente sulla tela la bellezza della pelle di pioppi e betulle, raccoglie rami e li imprime in una sorta di sindone rovesciata; come già faceva in passato – quando inseriva direttamente pezzi di rami in opere polimateriche – l’autore cerca mostrare gli alberi direttamente come sono, senza riprodurli, poiché le loro cortecce e il loro portamento sono già racconto, descrizione di un’esistenza straordinaria, capace di testimoniare il miracolo della creazione che ci fa simili e unici.
L’uomo. Il primo uomo che ha dipinto, diversi anni fa, l’ha identificato con Adamo, ed è sempre lui, il primo uomo, quello che ancora oggi attraversa le tele di Buratti, correndo senza sosta – in fuga dal male o all’inseguimento di qualcosa – per trovare l’impossibile pace, la certezza del proprio senso nel mondo. Una shilouette ispirata all’uomo di Policleto, un’icona classica riempita di colore pop, appare e scompare con il suo passaggio inquieto ed energico: è l’uomo antico e sempre contemporaneo, l’uomo che può fare, può capire, può scegliere, ma a cui non è concesso di fermarsi, in questa natura che non è più il paradiso, ma ne rinnova la promessa.
L’orizzonte. L’orizzonte segna la soglia dell’infinito, indica allo sguardo la possibilità di andare oltre. La linea continua dell’orizzonte sul mare, cara a tanta pittura romantica così come ai moderni paesaggi astratti di Nicolas De Staël, è ben più di un margine di separazione tra respiro del cielo e concretezza terrena: è il segno del destino ancestrale su cui si sposta continuamente il limite della nostra esistenza. Quel segno, Vittorio Buratti lo esplora con la spiritualità ardente del credente, vi sospende un sole perfetto e incandescente, lo tende tra colori luminosi e cupi, si abbandona all’incanto quando appare incontaminato, lascia galleggiare l’angoscia quando il perfetto sistema del mondo sembra minacciato dai disastri ambientali.
Nella forza della natura, minacciata ma non vinta, Buratti coglie la semplicità con cui il mistero dell’esistenza si svela e, chiamandoci a contemplarlo, ci trasmette un messaggio semplice e infinitamente potente: se questo è il mondo che ci è stato dato, la sua salvezza sarà la nostra.
La terra, dicevano gli antichi, va attraversata a passi leggeri.
“Strength and Hope” by Valeria Tassinari
The clearness and depth of the strength inspiring the works of Vittorio Buratti can be perceived immediately by observing the intensity of the colours, the clear-cut construction of patterns, the accurate control over gestures and the message behind his paintings. By developing a project that is, firstly, reason for existence and then, with very little digressions, exploration of what is possible, Buratti has always experimented on materials and on different manners of representation without losing sight of the main aim: celebrating the sacredness of nature. Each of his paintings testifies a vocation that is sincere, ingenuous and noble as only the basic values of life can be. Throughout his works, one can discern a consequential pattern that has accompanied him for over forty years and that surprises us by virtue of its coherence and even its obstinacy in reminding us – with shapes, colours and words – that the relationship between man and nature is all-encompassing and inescapable.
Buratti is aware of the language of Italian abstract painting of the fifties – Fontana, Burri, Dorazio, Congdon, to name but a few – that he quotes as references of his self-training. However, Buratti’s love of the fantastic shapes of nature is too deep to enable him to depart from figurative references. His desire to be understood is too strong to deny onlookers the possibility of recognising familiar elements onto which they may build the meaning of his works. Therefore his particular manner of expression is based on perfect balance between representation and interpretation of the visible. The possibility to recognise a subject is combined with a bold and often unnatural use of colour that recalls expressionism. Colour is a language that is widely exploited even when it interacts with the deepest black or the blank white of the canvas. This is the emotional mark of his work; subjects include just a few archetypes that are repeated endlessly to reveal the rational and conceptual intention of the work; the cut of the composition, which is carefully studied by rigorously defining the frame, guides the eye towards an established direction; titles and descriptions, which are often repeated throughout a series of paintings, define the will to guide the observer and awaken his conscience. The fragile hope to share an ideal by means of the alchemy of images alone; Buratti is aware of this and this knowledge is his strength.
After an initial stage of explicit environmental commitment, as an urgent response to environmental issues (fires, acid rain, and devastation) that his works of the 70s denounced with a bold and dramatic language, Buratti experienced a long and inspired season of contemplation. The difficult and anguished accusation has been replaced by a more captivating communication strategy, characterised by sundrenched rural landscapes which are savoured in all their beauty by means of substantial and elegiac painting: an invitation to respect, inspired by beauty, by the search for luminous layers of colour, horizons suspended above vast meadows onto which one may gaze freely.
This liberty has changed in the most recent works, those representing the maturity of the artist. In these works that still present past topics and shapes, his entire story is summarised but this synthesis is characterised by a more radical awareness, guided by the solid ability to perfect the image. The enchanted gaze, that once rendered the daily experience of a stroll through the countryside, has become more perceptive and disciplined, filtered through a philosophical point of view, which has the aim of reducing the elements to attain rapid and exact poetry.
There are three main subjects which recur in this long sequence of works and the reference to the number three, the number of divine perfection, may not be casual.
The Tree. The Pillar connecting the Earth to the sky, sacred in all religions, the protector of the wonderful equilibrium of nature. The tree plays the leading role in many paintings. As a powerful patriarch or as a humble branch, trees – according to Buratti – can adapt to the context; they can be bent; they move to search for sunlight; thanks to the depth of their roots, they can survive and will die only if they are violently attacked. By repeating this theme as if it was a mantra, he builds elegant architectural patterns of trunks and branches, which are nearly always monochrome, and matches them with bright acrylic colours that are evenly and flatly spread to give life to a saturated background that is brimming with energy and that therefore transmits an idea of hope. By adopting a technique that resembles frottage, he transfers the beauty of the bark of poplars or birches directly onto the canvas, he collects branches and imprints them to create a sort of overturned Holy Shroud; as done in the past – when fragments of branches were inserted into the painting – the artist attempts to show us trees as they are, with no interpretation, since their bark and their growth habit already tell a story of an extraordinary